Una delle ultime serie che ho visto è Mindhunter, su Netflix. Mi è piaciuta abbastanza, sebbene il finale mi abbia lasciato un po’ delusa: a meno che non facciano un’altra stagione, la conclusione non mi ha convinta affatto. A parte questo, Mindhunter è davvero bella e accattivante.
Poco dopo averla finita ho trovato il libro da cui è tratta a soli 5€ e l’ho divorato in due giorni; devo dire che è molto diverso dallo show, che ha preso un approccio completamente diverso alla storia. Ma procediamo con ordine.
Il libro
Mindhunter, scritto da John Douglas e Max Olshaker, è la biografia del primo dei due autori, ovvero l’agente del FBI che rese l’analisi comportamentale una disciplina importantissima nella caccia ai criminali dandole una forma quasi scientifica e creando un’unità apposita.
Partendo dalla sua infanzia, John ricorda il periodo passato nell’esercito e nella polizia prima di iniziare la carriera al FBI e solo dopo un centinaio di pagine inizia a parlare delle interviste ai vari serial killer e criminali che lui e i suoi colleghi intervistarono negli anni successivi. Le interviste sono molto interessanti ma occupano solo una metà del libro e non hanno tutti i dettagli e le scene che invece vediamo nella serie, della quale occupano una posizione più centrale e importante.
Finita la parte dedicata agli incontri, Douglas continua la storia della sua unità e la sua vita analizzando i vari casi ai quali parteciparono e descrivendo con molti dettagli e particolari i vari profili legati ai diversi casi e il processo mentale dietro di essi, per poi parlare di alcuni casi non ancora risolti (al momento in cui il libro venne scritto, l’identità di vari criminali, tra cui il BTK killer che abbiamo visto nella serie non erano ancora state scoperte) e infine il suo pensionamento.
La serie
La serie Netflix (nella quale i nomi dei personaggi sono stati cambiati rispetto alla realtà) si concentra soprattutto sulle varie interviste condotte da Douglas e il suo collega e i vari criminali, così come alcuni casi nei quali aiutano la polizia e infine le loro vite personali.
Le interviste sono parte centrale degli episodi e sempre molto drammatizzate: non che le originali non lo fossero, ma questo è uno show visivo, che si concentra appunto sul creare scene che colpiscano e destabilizzino gli spettatori, mentre nel libro non c’è nessun cenno a masturbazioni durante gli incontri o svenimenti in un manicomio.
Al contrario del libro, che accenna appena al suo matrimonio, la serie dedica molto tempo alla relazione tra John e la moglie Pam, così come la vita del collega Bill Tench, sposato e con un figlio autistico, e la psicologa lesbica Wendy Carr che li aiutò a stabilire e ordinare il lavoro con i criminali.
Altro particolare che lentamente prende sempre maggior importanza è la parte politica, ovvero il legame dell’unità con i vari direttori del FBI e le loro posizioni nei confronti delle varie polizie locali che aiutano, nonché le regole interne che vietavano l’uso di un certo linguaggio sconcio e cose simili.
Conclusioni
Il libro e la serie sono molto diversi tra loro, sebbene raccontino la stessa storia.
Il libro narra la vita intera di Douglas dal punto di vista professionale, con pochissimi accenni alle sue relazioni personali al di fuori del Boureau e dedicando molto tempo e attenzione ai casi ai quali l’unità aveva collaborato e i vari profili creati. Sebbene non sia puramente tecnico, credo sia una lettura fondamentale per chi è interessato alla criminologia: è super scorrevole, estremamente interessate e risparmia i dettagli più cruenti, permettendo anche ai lettori più sensibili di leggerlo.
La serie invece si concentra sulla parte drammatica della storia, ovvero le interviste e le vite private dei protagonisti. Gli incontri con i criminali sono molto ben costruite e gli attori che li interpretano hanno fatto un lavoro incredibile, (ri)dando vita a persone orribili con ottimi risultati: le scene degli incontri tra gli agenti e Kemper (nonché Manson) sono magistrali.
Le vite private dei tre protagonisti sono una cornice che ben si adatta al resto della storia ma che non è strettamente necessaria, almeno dal mio punto di vista: pur aumentando la tensione generale, alla fin fine Mindhunter si concentra sugli incontri con i killer e la caccia ai criminali. Tutto sommato, la serie fa quello che le serie fanno meglio: prende un libro e lo racconta in modo molto più drammatico e oscuro.
Detto tutto ciò, è meglio il libro o lo show? Personalmente, preferisco il libro, perché dedica più tempo alla parte psicologica e i profili criminali, mentre la serie, per quanto bella, è leggermente troppo romanzata per me.
2 pensieri riguardo “Mindhunter | Was the book better?”