Alix Writes

Esse e Dio

Lei sa che una notte è tutto quello che hanno, ma se vuole sfruttarla appieno deve mascherare il tremore
dell’addio e concentrarsi sul presente solido, così allunga la mano.
“Sono Esse”, si presenta con tono tranquillo, maschera perfetta della verità.
“Sono Dio”, risponde lui.
La sua mano è fresca nonostante il calore del tramonto tra le sue dita, decisa e calma. Esse annuisce: lo
sapeva, ma essere sullo stesso piano è un primo passo (ma non lo sono, non è così? Sono su due piani
completamente diversi, sottoscala e tettoia, uniti da pareti ferme come punti fissi).
“Pronta a partire?”
“Sì.”
Dio la porta in un luogo comodo per parlare: “La vita è complicata”, sorride rilassato, “rendiamola semplice per un attimo. Cosa fai quando non sai cosa fare?”
Esse non pensa che quella sia una domanda semplice, ma forse la difficoltà è soggettiva.
“Sogno.”
“Ad occhi aperti o chiusi?”
“Entrambi, spesso in contemporanea.”
Dove vanno a morire, le conversazioni senza scopo, quelle fatte solo per tenersi compagnia, per mangiarsi i pensieri a vicenda, per aiutare l’altro a non farsi divorare dai suoi demoni? Esse ci pensa per mezzo istante ma è abbastanza e vede ossa di elefanti secolari e parole rinsecchite riempire l’orizzonte.
Dio le fa l’occhiolino – non sarebbe incredibile se riuscisse a leggerle il pensiero? Se le entrasse nella testa
come è entrato nei suoi organi, padrone assoluto eppure inconsapevole?
“È il modo migliore per fuggire.” La sua voce è roca come le sabbie di sassi sballottati dalle onde della riva, è una cascata lontana, ossa che scricchiolano sotto i denti e piedi che battono la terra danzando. È il cuore
della tempesta.
(Perché l’ha trovato adesso?)
“Tu invece? Dove ti nascondi quando non giochi a fare l’adulto?”
“Tra le nuvole, nei sapori, sotto la lingua e dentro una canna, tra i bambù e le righe di una pagina.”
“E ti ritrovi? O ti perdi, diviso tra i tuoi istinti e le lacrime degli altri?”
“Non lo so. A volte sento di essere ancora lì, altre invece sono un blocco di cera in una sera di primavera.
Lascio dietro delle tracce invisibili a tutti o dono pezzi di me a chi ha fame? Dovrai dirmelo tu.”
“Dopo allora.” Ho bisogno del cielo terso delle tue parole, non dice lei. È presto, troppo presto, eppure così
dannatamente tardi.
(Si meritavano più tempo.)
Dio le scruta l’anima, gli organi, il passato e il destino.
“Hai bisogno di te stessa. Ma io comparirò di nuovo più avanti.”
Esse alza gli occhi e vede l’azzurro del suo sguardo, brillante e lucido, pieno di promesse. Vede ciglia scure
che catturano la sua risata, vede la fronte ampia e le lentiggini, i ricci scuri e le nuvole dietro di essi. Vede i
raggi del sole che scalda la sera, le stelle che la bucano, le montagne nere dietro la notte.
Vede giorni, mesi, anni, vede l’infinito e il tutto. Vede la vita e vede la morte, l’inizio e la fine.
Vede il nulla.
Perché non li hanno, giorni o mesi o anni. Hanno solo una manciata di ore, sassolini che cadono
inesorabilmente verso gli inferi, minuscoli e inarrestabili.
E di nuovo si chiede che senso abbia trovare la perfezione quando non hai il tempo di godertela, di
conoscerla fino a capire che la perfezione non esiste ed è bello così.

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